Anello Alpe di Baudo
Montalto Carpasio
Ci troviamo oggi nel cuore delle Alpi Liguri, più precisamente in valle Carpasina alle spalle dell’abitato di Carpasio, per compiere una trekkinata avvolta nel mistero...o quasi.
Quest’escursione si svolge completamente su territorio di media montagna, a ridosso delle Alpi, tra pascoli e crinali scoscesi, fortemente interessato dal passaggio di animali: occhio perciò alle “sòtte” disseminate ovunque.
L’inizio del percorso avviene presso la località Prati Piani dove uno spiazzo accanto ad una fontana d’acqua sorgiva funge da comodo parcheggio.
La particolarità di questo posto è che improvvisamente, dopo chilometri e chilometri di curve in mezzo al nulla, ci si imbatte in un grande complesso (ora) residenziale, di tutto rispetto, chiamato proprio Prati Piani. Ma di cosa si tratta?
Attualmente parliamo di una pluri-residenza dotata di ogni comfort, come camere moderne, sauna, piscina e zone relax ma, anticamente, questa fu il rifugio estivo della famiglia Agnesi di Imperia.
Gli Agnesi sono i fondatori dell’omonima fabbrica di pasta, ancora oggi nota in tutt’Italia. Il loro successo commerciale, che arrivò nel Novecento fin oltreoceano, derivò dal fatto che alcuni affari della famiglia vennero intrattenuti con diverse società internazionali di navigazione, con le quali importarono grano ad Imperia con relativa facilità. La svolta industriale arrivò negli anni Trenta quando l’azienda Agnesi vinse l’appalto per la fornitura di approvvigionamento di viveri per alcuni battaglioni dell’esercito italiano; a quel tempo, in cambio di tale servizio, si poteva fare uso della manodopera dei soldati a costo zero.
Fu proprio da questa manodopera che Prati Piani venne costruita.
Nel 1935 entró in funzione la statale che da Carpasio arriva a San Bernardo di Conio, da dove siamo arrivati noi, con relativa casa cantoniera come rimessaggio.
La scelta del luogo in cui sorse la villa fu probabilmente dovuta alla presenza della sorgente che si trova a monte della ex stalla, con la quale si riusciva abbondantemente a soddisfare i bisogni della fattoria e, nei periodi estivi, dei numerosi ospiti. I prodotti che provenivano della fattoria servivano per approvvigionare la mensa della villa; nella tenuta si allevavano mucche, pecore, capre, maiali, oche, galline, conigli e api e si coltivavano circa 4/5 ettari di terreno.
Nel 1948 un membro della famiglia Agnesi decise di trasformare Prati Piani in un ristorante che divenne ben presto assai noto in tutta la zona per la sua cucina tradizionale. Ad affiancare questa attività si rese indispensabile il comparto dell’hotellerie che annoverava venti camere standard e cinque luxury, dislocate tra la villa e la fattoria. La casa cantoniera invece restò a fruizione del personale. Tra gli ospiti illustri di questa realtà vi furono l’allora squadra dell’Inter e, si dice, persino Winston Churchill. Attualmente, un restyling datato 2006 per mano di investitori stranieri, ha dato nuova vita a questo posto. . . ma ci risulta che sia in vendita. Dal parcheggio iniziamo la camminata, inoltrandoci nel bosco per intraprendere la dolce salita verso l’alpeggio.
La nostra raccomandazione è quella di tenere sempre gli occhi aperti: il sentiero non è segnato in alcun modo e, sia nelle zone prative sia lungo i pendii avvolti dalla bassa vegetazione, è facilissimo perdere la traccia ed uscire dal sentiero.
Può essere estremamente utile fare affidamento al tracciato .gpx scaricabile sul nostro sito web, perciò vi invitiamo a visitare www.duezainieuncamallo.com.
La prima traversata che affrontiamo è quella relativa ad un pascolo in falsopiano dove l’alta presenza estiva di bestiame ha creato un sacco di false tracce tra labassa vegetazione, andando a confonderci fin da subito.
Anni di camminate sul territorio per imparare ad orientarsi e bastano 20/30 mucche al pascolo per farci perdere, assurdo. Eppure è così.
Per non dover sempre tenere sott’occhio lo smartphone con la mappa attiva, possiamo rassicurarvi dicendovi che più o meno il sentiero si sviluppa con presa di quota graduale, individuiamo la via corretta guardando sempre più in là del nostro naso e orientandoci, all’andata almeno, verso sud (cercando di intravedere il mare).
Tenendo la nostra sinistra lasciamo quasi subito alle nostre spalle la zona dei Prati Piani e ci inoltriamo in un bosco fitto di conifere ad alto fusto, in prevalenza noccioli, invaso da una notevole quantità di roveti nella parte bassa. Con ogni probabilità si tratta di folti cespugli di rose selvatiche che proprio qui invadono con il loro portamento arbustivo strisciante tutto il percorso, riservando alle nostre gambe frequenti incontri e . . . graffi.
Una curiosità: in antichità questo tipo di rosa venne chiamata “canina” perché si riteneva che le sue radici fossero un ottimo rimedio per curare la rabbia procurata dai morsi dei cani.
Non solo “sòtte” di mucca quindi, anche rovi e false piste, preparatevi! Scherzi a parte, proseguiamo lungo il pietrisco sconnesso fino ad uscire completamente dal bosco, senza mai più rincontrarlo, assaporando così una lieve ma pungente aria ottobrina.
Come dicevamo poc’anzi, saliamo di quota molto lentamente, tra piccoli tornanti che tagliano il crinale dell’Alpe di Baudo (1270 mt slm) e che ci offrono bellissimi panorami su Carpasio ed i monti Moro, Crocetta e Faudo.
Dopo quasi 35 minuti di cammino incontriamo una delle più classiche caselle in pietra, atta ad offrire riparo temporaneo ai pastori o ai contadini durante le lunghe giornate trascorse in alpeggio. I terreni coltivati, un tempo, erano distanti dai villaggi e si aveva bisogno di un luogo dove trovare rifugio in caso di cattivo tempo o come ricovero per gli attrezzi da lavoro. Raramente le caselle venivano utilizzate per trascorrervi la notte, soprattutto in questa parte di Liguria, quindi la loro concezione aveva finalità diverse a secondo dell’utilizzo.
Se venivano edificate a servizio dei pascoli o delle greggi transumanti, oppure a stoccaggio del fieno, lo scopriremo solo percorrendo ancora qualche centinaia di metri.Ed è così che la nostra trekkinata giunge nei pressi della dorsale sud est del Monte Carpasina dove decine di cumuli di pietre sembrano affiorare come funghi dal terreno.
Con la loro curiosa forma “a pandoro”, queste montagnette di pietre incastrate tra loro con grande cura, regalano uno spettacolo unico, da noi mai visto prima. A guardarle da vicino, istintivamente, viene voglia di cercarne l’ingresso, ma scopriamo subito che non si tratta di caselle. Cosa sono quindi?
Nei tempi moderni sono nate diverse suggestive teorie sulla loro origine, tuttavia a noi è bastato poi chiederead un paio di anziani seduti sulla veranda del ristorante “La Carpasina” - dove ci siamo fermati per il pranzo - per trovare delle risposte autentiche. L’Alpe di Baudo era utilizzata dai pastori per la fienagione e la lama della falce non era certo amica delle pietre. Per questo motivo i terreni venivano ripuliti accumulando i sassi in cosiddetti spietramenti o “scàiai”, dove i sassi più grandi e regolari creavano una muratura a base circolare, che veniva in seguito riempita con i frammenti più piccoli. Una sorta di cestino dell’immondizia. Il fatto poi che fossero così precisi e curati risale al periodo del fascio, nel quale i manovali impegnati nella bonifica del terreno venivano pagati dallo stato alla giornata, pertanto più tempo ci si impiegava per la costruzione più si guadagnava.Il periodo buio del nazifascismo interessò fortemente queste zone della Liguria, attivando, di conseguenza, una forte opposizione partigiana.
Ed è proprio poco distante da qui che il 4 e 5 settembre del 1944 ebbe luogo la battaglia di Monte Grande.
Sul finire di quell’estate le forze tedesche e fasciste avevano infatti accerchiato le formazioni partigiane riparate nella zona del bosco di Rezzo. Caposaldo dell’operazione erano le postazioni della cima di Monte Grande in grado di battere con il loro fuoco un
vasto raggio di territorio delle valli circostanti.
Per uscire dall’accerchiamento l’azione partigiana prese le mosse da San Bernardo di Conio e dal soprastante Monte Aurigo, da dove si diressero i tiri di due preziosi mortai da 81mm. che iniziarono a martellare le posizioni tedesche. Quindi il distaccamento d’assalto “Garbagnati” composto da 17 uomini guidati dai partigiani “Mancen” e “Stalin” si portò sotto le pendici di Monte Grande e a sorpresa diede l’assalto con lancio di bombe a mano e raffiche di armi automatiche leggere, avendo la meglio nonostante la superiore potenza militare tedesca.
Così l’accerchiamento delle formazioni partigiane fu rotto e si aprì una via di scampo. Ogni anno a S. Bernardo di Conio la domenica più prossima al 5 settembre, si celebra il ricordo di questa ardita vittoria partigiana nei pressi del monumento alle Medaglie d’Oro della Resistenza Imperiese (fonte: brochure “Itinerari della memoria in provincia di Imperia”).
Una parentesi davvero ombrosa che ha interessato e segnato gran parte dell’entroterra ligure.
L’ascesa continua in zona prativa e la ricerca del pilone più “instagrammabile” ci porta via buone manciate di minuti rallentando così la tabella di marcia. Tra uno scatto e l’altro ci ritroviamo sul sentiero di cresta, disseminato da grossi massi che ci obbligano ad una percorrenza a zig-zag.
Arrivati alla sommità della Croce dell’Alpe di Baudo, la vista si apre sul mare lasciando intravedere una porzione di costa armese e gran parte dell’alta Valle Argentina, dominata dal Toraggio, dal Pietravecchia, dalla Cima di Marta e dal Saccarello; più in fondo si possono scorgere le cime più alte del Massiccio del Mercantour.
Il sentiero ora prosegue verso nord, tra sconfinati campi di lavanda e lungo parte della cresta che saremo costretti ad abbandonare di li a poco. In più di un’occasione ci troveremo a dover superare, non senza alcuna difficoltà, corpose fronde di felci secche e infestanti.
Con passo svelto, in quasi 40 minuti di costante discesa, ci ricongiungeremo con parte della traccia percorsa all’andata, per riprendere l’auto e riempire la borraccia alla fonte di Prati Piani.
Come menzionato nel testo della pagina precedente, la nostra giornata prosegue verso l’abitato di Carpasio per una sosta ristoro.
Il ristorante “La Carpasina” è un po’ il centro vitale del paese, dove si ritrovano alcuni abitanti per scambiare quattro chiacchiere davanti ad un calice di “vin gianco”.
Cucina semplice e sostanziosa, cosa volere di più?
Finito il nostro pranzo ci resta solo un’ultima tappa da compiere, ovvero quella storica.
Generalmente aperto da aprile a ottobre i soli sabato e domenica, nella poco distante frazione di Costa di Carpasio, avvalorando ancor di più le vicende della battaglia di Monte Grande, troviamo un museo dedicato alla resistenza che costituisce un valido centro di esposizione di materiali e reperti originali legati agli eventi della guerriglia partigiana.
L’esposizione illustra principalmente la vita e le azioni delle formazioni rivoluzionarie durante la lotta di liberazione.Al suo interno sono contenuti circa 300 reperti storici e circa 200 tra lettere, manifesti e fotografie dell’epoca.
Nella sala a piano terra si può trovare una grande mappa sulla quale sono identificate le zone operative delle varie brigate del Comando della I Zona Liguria. Ricordiamo che già in altri nostri itinerari, abbiamo raccontato vicende legate alla II Divisione Felice Cascione.
In questa carta topografica scopriamo anche la presenza della VI Divisione Silvio Bonfante, di cui sono poste in evidenza le divise originali.
Nella sala al primo piano, invece, trovano spazio molti cimeli come il Majerling, un mitragliatore tedesco a lunga gittata, conosciuto come MG42, e poi ancora rottami di un aereo tedesco caduto nella vicina Realdo.
Un ambiente curato e davvero singolare, frequentato moltissimo da scolaresche provenienti dal savonese e dall’imperiese.
Oltre queste mura però, curiosa è la storia di un grande castagno cavo utilizzato come rifugio d'emergenza improvvisato per fuggire dalle rappresaglie tedesche.
«. . . tutto iniziò nel 1944 durante la Guerra di Liberazione . . . un mattino la valle risuonò di spari, di raffiche di mitraglia e di rombi di mortaio. La gravità della situazione gli fu chiara, quando vide la gente della “Costa” fuggire nascondendosi nei boschi con le famiglie. Poi il sole era già alto, un partigiano ferito fu fatto salire in cima al suo tronco e calato nella sua cavità. Capì che lo affidavano a lui perché lo tenesse celato . . . la guerra continuava e fatti analoghi si ripeterono nel tempo molte volte e fu sempre ospitale e disponibile, ma un’occasione su tutte lo inorgoglisce, quella in cui riuscì a nascondere contemporaneamente e da solo cinque partigiani infermi». (Giacomo Lavagna “Il Castagno di Costa di Carpasio”).
Il nostro entroterra non smette mai di fornirci meraviglia, stupore, nozioni, insegnamenti, storie e leggende, guai a mugugnare!
Route in Zahlen
h 2:05
Reise
6,00 Km
Streckendauer
290 mt
Höhenunterschied